Tassa sulle multinazionali digitali: l’OCSE avanza, l’UE indietreggia

, di Noémie Chemla, Tradotto da Chiara Ruggiero

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Tassa sulle multinazionali digitali: l'OCSE avanza, l'UE indietreggia
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Il 1° luglio, 130 paesi dell’OCSE hanno annunciato di aver raggiunto un accordo su una tassa minima di imposta del 15% per le multinazionali, con lo scopo di colpire in particolare le grandi imprese digitali. Un significativo passo avanti.tuttavia due settimane più tardi, l’Unione europea ha annunciato di aver rinviato il suo progetto di tassazione GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft).

Sicuramente ci vorrà del tempo. Mentre si preparava a svelare il suo progetto di tassazione il 20 luglio, prima della pausa estiva, la Commissione europea aveva annunciato pochi giorni prima, il 12 luglio, il congelamento della tassa sulle grandi imprese digitali. La presentazione di questo progetto è stata poi rinviata a ottobre, secondo l’esecutivo europeo. La strada della riforma fiscale per le aziende digitali continua ad essere costellata di ostacoli: dopo la presentazione del 2018 di una prima bozza di tassazione, questa continua a scontrarsi con la mancanza di consenso tra i paesi europei da un lato e la pressione degli USA dall’altro.

Riunitisi il 10 luglio, i ministri delle Finanze dei paesi del G20 erano riusciti ad approvare lo storico accordo raggiunto dai 130 paesi dell’OCSE, che prevedeva una tassa mondiale di almeno il 15% sui profitti delle multinazionali. L’accordo si basa su due pilastri. Il primo mira a ridistribuire una parte dell’imposta sui profitti pagata dalle multinazionali ai cosiddetti “paesi di mercato”, quelli dove svolgono le loro attività. L’imposta, quindi, non dipenderà più solo dalla collocazione della sede. Questa nuova tassa si applicherà alle aziende con un fatturato mondiale più alto di 20 miliardi di euro ed una redditività superiore al 10%. La misura è rivolta direttamente ai GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) che beneficiano del principio della stabile organizzazione, per sottrarsi dalla tassazione dei profitti che realizzano in Europa. Il secondo pilastro invece, corrisponde all’istaurazione di una tassa effettiva minima di almeno il 15% sui profitti delle multinazionali. Uno Stato potrà tassare i profitti esteri di una delle sue società nazionali che sarebbe stata imposta all’estero con un tasso inferiore a questo tasso minimo, al fine di recuperare la differenza. I ministri delle Finanze del G7 si sono congratulati di questo accordo, in modo particolare il ministro francese dell’Economia, delle finanze Bruno Le Maire, che ha salutato «il più importante accordo fiscale internazionale in un secolo» ed il ministro olandese Olaf Scholz, che vede in questo un «passo colossale verso una giustizia sociale più grande».

Una «vittoria» americana sulla tassa europea GAFAM?

Questo accordo è stato ampiamente e positivamente accolto. Tuttavia, sembrerebbe che questa tassa abbia al contempo permesso agli Stati Uniti di rinviare, ancora una volta, la riforma fiscale prevista dall’UE per le multinazionali digitali.

La segretaria americana al Tesoro Janet Yellen, ha invitato l’UE a riconsiderare il suo progetto di tassazione alla luce di quello dell’OCSE: «[Questo accordo] chiede ai paesi di accettare di smantellare le tasse digitali esistenti che gli Stati Uniti considerano discriminatorie e di astenersi dall’introdurre misure simili in futuro (...) Spetta quindi alla Commissione europea e ai membri dell’UE decidere come procedere», aveva dichiarato alla stampa durante il G20 a Venezia. A fine giugno, l’amministratore Biden incitò nuovamente gli Stati membri a ritirare il loro progetto.

Il vicepresidente della Commissione europea per gli affari economici, Valdis Dombrovskis, ha dichiarato che l’UE è al lavoro con i suoi partner internazionali affinché la futura tassa UE non interferisca con il procedimento dell’OCSE, Ha affermato inoltre che «la tassa minima globale e la web tax non sono alternative ma possono coesistere». Bruno Le Maire ha inoltre precisato: «Avremo l’opportunità di discutere questo argomento con [Janet Yellen], di rassicurarla, di prendere in considerazione le preoccupazioni degli americani e di fornire i chiarimenti necessari».

Dal canto suo, il commissario europeo per il bilancio, Johannes Hahn, non vuole rinunciare al progetto. Il 12 luglio ha dichiarato: «Diversi paesi europei hanno già adottato una tassa sui servizi digitali, e penso che sia doveroso che l’UE abbia una tassa unificata in questo settore. Guarderemo il risultato dei negoziati dell’OCSE, e se saremo soddisfatti del risultato, adatteremo il nostro progetto», ricordando che l’Europa ha un po’ di tempo poiché la riforma avviata nel quadro dell’OCSE non dovrebbe essere applicata prima del 2023.

In effetti, diversi paesi come la Francia, la Spagna, l’Italia o l’Austria hanno adottato una tassa sulle grandi aziende digitale, impegnandosi ad abolirla una volta che si sarebbe adottato un piano a livello europeo - a cui gli USA avevano risposto con delle sanzioni commerciali, soprattutto verso la Francia.

Tuttavia, per il momento, il piano dell’UE per riformare la tassazione dei GAFAM è rimandato e ha un futuro incerto: sembra molto improbabile che gli Stati Uniti accettino la doppia tassazione delle loro società nell’UE.

Risorse europee in pericolo a causa della tassa digitale

Sembrerebbe che l’accordo votato dall’OCSE sia una buona notizia per l’UE dal momento che fa parte del suo progetto di riforma della tassazione dei giganti digitali. Tuttavia, questo ritardo - o rinuncia? - solleva la questione più ampia delle risorse proprie dell’UE. Effettivamente, la tassa digitale è stata concepita e presentata come una delle nuove risorse finanziare che avrebbero dovuto alimentare il budget europeo e in particolare il piano di rilancio da 750 miliardi di euro adottato dai 27 paesi per far fronte alla crisi economica causata dalla pandemia corona virus nel 2020.

Sfortunatamente, le due altre proposte di risorse proprie, come il meccanismo d’aggiustamento del carbonio alle frontiere e l’estensione del sistema di scambio delle emissioni (ETS) al mercato dell’edilizia e dei trasporti, si sono scontrate anche esse a delle contestazioni sia esterne che interne, causate delle preoccupazioni sulla loro fattibilità e accettabilità. Inoltre, il progetto dell’OCSE è rivelatore: nonostante abbia riunito i voti di 130 paesi, molti altri, tra cui alcuni europei, risultano ancora contrari: l’Irlanda, con una tassazione fiscale bassa che rappresenta una risorsa per le multinazionali digitali, e l’Ungheria, che ha recentemente abbassato le sue aliquote. Questi disaccordi sollevano lo spettro delle differenze interne all’UE e potrebbero impedire decisioni come questa che dovrebbero essere prese all’unanimità.

L’inizio del nuovo anno risulterà decisivo per l’UE e per il suo progetto fiscale GAFAM: resta da vedere se i 27 oseranno seguire la loro riforma fiscale parallelamente con quella intrapresa dagli USA. La tassa del 15% è stata infatti un’iniziativa del presidente americano Joe Biden e può, in realtà, essere letta come una manovra politica che non sconvolgerà lo status quo (pochi paesi applicano effettivamente un’aliquota inferiore al 15%) evitando che le imprese americane siano tassate nell’UE ulteriormente e incoraggiando i paesi che hanno già attuato tale tassazione a rinunciarvi.

Inoltre, anche il progetto europeo non è perfetto e suscita preoccupazioni e opposizioni. In particolare, perché molte imprese europee, potenzialmente più numerose di quelle americane, rischierebbero il fallimento sotto questa tassa. Lo scorso luglio, la vicepresidente della Commissione Margrethe Vestager ha detto che l’UE non rinuncerà al suo piano nonostante l’accordo dell’OCSE. È possibile che la volontà politica di attuare una tassa europea rimanga: la preoccupazione attuale è se gli Stati membri siano o meno in grado di concordare uno schema accettabile e praticabile, all’interno dell’UE, nonostante i vincoli esterni.

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