Gli strumenti di democrazia partecipativa e diretta esistono, anche in Europa. Quali sono?

Tra ICE e Conferenza, qual è la vera voce dei cittadini europei?

, di Cesare Ceccato

Tra ICE e Conferenza, qual è la vera voce dei cittadini europei?
Image by Free-Photos from Pixabay

Strumento di democrazia semi-diretta, com’è la raccolta firme per la presentazione di un referendum, l’iniziativa dei cittadini europei (ICE) è prevista dal Trattato sull’Unione europea sin dal 2007. Oggi è disponibile un nuovo mezzo per rendere la società civile partecipe alle discussioni istituzionali e all’attività legislativa, la Conferenza sul futuro dell’Europa. Le poche registrazioni alla piattaforma rischiano di trasformarla in poco più che un forum, ma parallelamente sono state previste opzioni per renderla un successo.

Sarà per una certa immobilità del Parlamento, sarà per una discordanza interna allo stesso, sarà perché la maggior parte dei gruppi promotori è da sempre più vicina ai cittadini che alle istituzioni, fatto sta che, negli ultimi mesi, in Italia, sono state diverse le raccolte firme volte a presentare iniziative referendarie abrogative in conformità con l’articolo 75 della Costituzione. La strategia del referendum ha storicamente portato a risultati controversi nel Bel Paese. Se da un lato gli si deve il merito di aver conferito grande importanza a un campo spesso svantaggiato come quello dei diritti civili, dall’altro ha più volte confuso il cittadino, specie quando ha proposto ad esso plurimi quesiti con poco in comune, come accaduto nel 1993 e nel 1995. In ogni caso, si tratta del metodo più diretto con cui dare voce al popolo, metodo che ha un fratello nato a Lisbona nel 2007.

Nel corso del consolidamento del Trattato sull’Unione europea, si decise di apporre un comma che desse la possibilità ai cittadini di “invitare la Commissione europea a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione”. Si tratta dell’iniziativa dei cittadini europei (ICE); non un referendum a tutti gli effetti, ma un input al procedimento legislativo europeo, che riceve esame qualora raggiunga in dodici mesi il supporto di un milione di cittadini, appartenenti ad almeno un quarto degli Stati membri. I passaggi da seguire sono piuttosto accessibili, il grande intoppo sta nella diffusione delle proposte, specialmente quando portate avanti da gruppi economicamente fragili, lo dimostra la campagna “Stop Extremism”, capace di raccogliere mezzo milione di sottoscrizioni in Italia e più di centomila in Danimarca e Germania, ma mai arrivata ai cittadini croati, cechi, greci e lituani. Delle iniziative lanciate nell’ultimo anno, tutte estremamente precise e concrete e che, nella maggior parte dei casi, si rifanno a tematiche ambientali o legate alla giustizia, solo una decina è stata in grado di rispettare ogni standard imposto.

Considerato ciò, sorge un grande dubbio riguardo un’altra situazione pseudo-referendaria in cui i cittadini europei sono chiamati a esprimere le proprie opinioni sulle priorità dell’Unione: la Conferenza sul futuro dell’Europa e la sua relativa piattaforma. Sebbene mezzo innovativo, considerate le molteplici funzioni che riserba, tra cui la possibilità di organizzare eventi di consultazione diretta, oggi futureu conta poco più di trentamila partecipanti, un numero assai minore rispetto a quello che si schiera a favore delle iniziative di cui sopra. Come è possibile pensare che l’Unione del futuro possa discernere dalle proposte di questa piccola fetta di popolazione?

Di certo, non si tornerà all’Europa elitaria degli anni precedenti al 1979, quando ci fu la prima elezione diretta del Parlamento europeo, visto lo spirito di coesione e cooperazione marcatissimo in ogni settore della piattaforma, ma il rischio che questa sia considerata poco più che un forum c’è.

La bassa partecipazione può essere intesa in tantissimi modi diversi, di cui nessuno positivo per una nuova Europa che guardi ai cittadini e ai territori piuttosto che agli Stati nazionali. I sovranisti, in crisi in ogni Stato europeo, come testimoniato dai risultati delle ultime elezioni tedesche e dai sondaggi italiani e francesi, potrebbero trovare nuova linfa aggrappandosi al concetto di un popolo che si astiene perché reputa i temi troppo specifici, perché disinteressato all’Unione europea o anche perché contrario alla sua sussistenza. La verità, molto probabilmente, è un’altra, ossia che la distanza tra l’Europa e i cittadini non sia percepita come risanabile da un contatto via web. Proprio per questo, i tre co-presidenti della Conferenza, Dubravka Šuica (Commissione europea), Guy Verofhstadt (Parlamento europeo) e Ana Paula Zacarias (Consiglio dell’Unione) stanno spingendo su un’attività parallela, i panel dei cittadini europei.

«Nessun politico che vedrà la vostra partecipazione attiva a questa Conferenza, alla fine, potrà ancora negare le conclusioni di questo esercizio, nessuno potrà far finta di niente». Con queste parole, Verhofstadt ha aperto il mese scorso il primo panel a Strasburgo, improntato su economia, giustizia, occupazione, istruzione, cultura, gioventù e trasformazione digitale e che ha visto dibattere duecento cittadini di ogni estrazione e provenienza geografica. La dichiarazione dell’ex primo ministro belga rievoca gli slogan con cui vengono lanciate le classiche consultazioni come, appunto, referendum e iniziative dei cittadini europei. D’altronde, anche in questa situazione è la società civile a essere protagonista, certo, i numeri non saranno alti come quelli delle raccolte firme o delle urne, ma il compito attribuito al popolo è radicalmente diverso.

Esprimersi, proporre, rispondere, dare un determinato valore a una o l’altra sfida che dovrà affrontare l’Europa del futuro è ben più che limitarsi a dare sostegno a una battaglia. All’interno della Conferenza, che sia vissuta sulla piattaforma o nei panel, si ha la possibilità di scendere in campo e cercare la vittoria in prima persona, non soltanto di tifare dagli spalti, qui sta la grande differenza con l’ICE, il mezzo con cui rispondere fieramente alle accuse anti-europeiste. Alla voce dei cittadini, si aggiungono dunque i muscoli degli stessi.

Se poi, come dichiarato nel discorso sullo Stato dell’Unione del 15 settembre dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in prima fila nel collaborare ci saranno i giovani, considerato che a essere in gioco è soprattutto il loro futuro, vista la grande partecipazione del network giovanile politico specialmente sul piano digitale, ambientale e dei diritti umani, si può ipotizzare che questa grande forma di democrazia si riveli un successo. Soprattutto nel momento in cui si fa breccia sul punto fermo con cui la Presidente ha chiuso la parentesi Conferenza nella sua pronunciazione: «la Commissione sarà pronta a dare seguito immediato alle decisioni prese».

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