Recentemente Istanbul è stata colpita da un attacco di un kamikaze di origine siriana, secondo le autorità turche molto probabilmente appartenente all’Isis. Dopo la morte di almeno dieci turisti tedeschi, molti europei affermano «je suis Istambul». Ma ciò non è che la punta dell’iceberg. Ankara fa il doppio gioco alle frontiere - più che permeabili - nei confronti dell’Isis e delle questioni che gravitano attorno al traffico di petrolio dell’organizzazione terroristica in Turchia. Ciò nonostante i dirigenti dell’Unione europea non si esprimono.
Dopo la tragedia che ha colpito dei cittadini europei in piazza Sultanahmet, esprimiamo la nostra immensa solidarietà ai turchi. Occorre tuttavia ricordare quello che tutti i giorni viene subito da migliaia di nostri vicini che vivono a est dello Stretto del Bosforo, le azioni e decisioni di Ankara che violano i diritti fondamentali dei suoi cittadini, e che si oppongono ai valori sanciti dai padri fondatori dell’Unione.
Dopo questo attacco terroristico, come al solito, le autorità turche hanno imposto un silenzio stampa. Questa misura, resa possibile dalla legge 6112, ha come obiettivo di «servire gli interessi d’inchiesta» o di non andare contro «l’etica». Purtroppo, in pratica, questa misura permette al governo di manipolare a suo piacimento l’opinione pubblica. Solo quando le autorità hanno rilasciato la loro versione dei fatti i media possono iniziare a esprimersi, un po’, ma non proprio liberamente. In questo senso, è interessante analizzare le dichiarazioni dell’uomo che recentemente ha lodato le virtù del regime totalitario nazista.
Mentre si trovava all’ottava conferenza degli ambasciatori, Recep Tayyip Erdoğan ha preso la parola in seguito all’esplosione per condannare ogni forma di terrorismo e organizzazione terroristica. Nella stessa occasione ha ricordato che o si è col governo turco, o si è dalla parte dei terroristi, riferendosi a un appello per la pace lanciato da più di un migliaio d’intellettuali turchi e internazionali - trai quali Noam Chomsky, Judith Butler, Étienne Balibar e David Harvey -. Questo appello denuncia le violenze perpetrate dal governo nell’est del paese, in particolare contro la minoranza curda.
In questa regione del paese numerose città pro-curde sono sotto assedio, i civili vengono massacrati, i bambini sono vittime indifese. Le linee elettriche sono interrotte, le scuole e ogni altro palazzo rasi al suolo. I corpi abbandonati per le strade marciscono e vengono utilizzati come esche dai cecchini dello stato, finché non vengono raccolti dalle forze dell’ordine. I militanti e gli attivisti che osano denunciare questi fatti subiscono, nel migliore dei casi, delle intimidazioni.
Tra il discorso di Erdogan che condanna «ogni forma di terrorismo [tra cui l’appello alla pace]» e la redazione di questo articolo, è stata presa in considerazione l’espulsione di alcuni universitari turchi e il procedimento giudiziario contro altri. Inoltre, Sedat Peker, un nazionalista turco che non nasconde i propri legami con le autorità - ma prima di tutto un potente criminale che è già stato condannato a delle pene irrisorie per essere stato a capo di un’organizzazione criminale, ma mai per omicidio - ha già annunciato che «[lui e i suoi]» si laveranno col sangue [degli universitari che hanno firmato l’appello di pace] che scorrerà a fiumi".
Mentre siamo tutti commossi da quello che è successo a Istanbul, bisogna denunciare con forza le atrocità, tutte queste atrocità. I leader europei hanno il dovere di reagire fermamente contro i terroristi, di esprimere la loro solidarietà con i turchi e le famiglie colpite dagli attentati subiti dal paese, di coniugare i loro sforzi contro questo male del ventunesimo secolo, ma bisogna anche esigere da loro che siano fermi con i propri alleati e intransigenti quando questi ultimi commettono atti totalmente indegni in una democrazia, in uno Stato di diritto, e che vanno contro i principi difesi dall’Unione Europea, prerequisiti di base per candidati all’adesione.
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