Un appello europeista per il No. Parla Sandro Gozi

, di Marco Zecchinelli

Un appello europeista per il No. Parla Sandro Gozi

L’europarlamentare Sandro Gozi ha da poco firmato, insieme a Pier Virgilio Dastoli e altre personalità della politica e della cultura, una lettera in cui spiega le ragioni per il suo No al referendum sul taglio dei parlamentari italiani. Lo abbiamo raggiunto per porgli alcune domande che possono aiutare a inquadrare meglio il senso della sua proposta alternativa.

Perché inquadrare un referendum nazionale all’interno delle dinamiche europee, collegando la riduzione dei parlamentari al Piano per la ripresa proposto dalle istituzioni UE?

Il taglio dei parlamentari, così come è stato proposto, è inutile se non addirittura dannoso. Il problema della governabilità del nostro Paese è storico e non risiede certo nel numero dei parlamentari che occupano le due Camere, bensì nei ruoli, nelle funzioni e nei regolamenti delle stesse. Questo referendum è una falsa soluzione che serve soltanto ad alimentare la bestia populista, una finzione che lascerà lo status quo e non risolverà il problema della lentezza e dell’inefficienza della nostra democrazia. Il Piano per la ripresa varato dall’UE, invece, ci chiede esattamente di risolvere questo problema e di abbattere il moloch burocratico che impedisce al nostro Paese ogni tipo di riforma seria e strutturale che ci permetta di entrare nel futuro.

I parlamentari europei, come Lei, vengono citati da parte del Sì a sostegno della teoria secondo cui una minore rappresentatività dei territori nelle Camere sarebbe compensata dagli eletti a Strasburgo e nei Consigli regionali e comunali. Cosa ne pensa?

Questo è uno degli argomenti più bislacchi che ho sentito da parte di chi sostiene il Sì a questo referendum. Dobbiamo stabilire una nuova cooperazione tra gli eletti al Parlamento italiano e quelli in Europa e nelle Regioni, non diminuire la rappresentanza nazionale. Proprio per questo nella nostra lettera abbiamo proposto di inserire nel Piano di Riforma e di Rilancio dell’Italia la trasformazione del Senato in un Senato Federale, aggiornando i rapporti tra Stato e Regioni e tra istituzioni nazionali ed europee.

Sarebbe possibile, nei mesi rimanenti a questa legislatura e nella particolare situazione politica in cui versano le forze di maggioranza, affrontare una riforma del Senato come quella auspicata dalla lettera che Lei ha firmato?

Sarebbe opportuno. Purtroppo, ogni volta che nel nostro Paese si è cercato di riformare e modernizzare le nostre istituzioni, le forze politiche si sono divise in fazioni portando avanti interessi del tutto estranei all’oggetto in questione. Ma una riforma di questo tipo, in un momento storico così straordinario in cui l’Europa sta svolgendo un ruolo mai avuto in passato per affrontare la crisi dovuta al Covid-19 e che chiede legittimamente risposte altrettanto all’altezza da parte dei singoli Paesi membri, dovrebbe trovare il consenso o perlomeno l’attenzione da parte di tutte le forze politiche, non solo della maggioranza.

Non è più facile che la vittoria del Sì, determinando la necessità dei famosi «correttivi», favorisca una situazione all’interno della quale superare il bicameralismo perfetto? E che al contrario una vittoria del No faccia percepire ai partiti, alla terza bocciatura referendaria, il rischio di «morte politica» per chi mette mano alla Costituzione?

Il rischio è esattamente l’opposto: qualcuno potrebbe pensare che il taglio dei parlamentari sia la panacea di tutti i mali e accontentarsi, illudendo i cittadini di aver risolto con un semplice taglio i problemi della nostra democrazia parlamentare. Questo è il tempo del coraggio e dell’ambizione, l’opportunità che ci offre questa difficile fase della storia e il sostegno dell’Unione europea, dovrebbero indurci a ripensare in maniera seria, articolata e coordinata le nostre istituzioni. È l’occasione per attuare finalmente riforme di cui parliamo da anni: dalla giustizia alla macchina burocratica, dalla libertà d’impresa al sostegno al lavoro, proiettandoci nel futuro ecologico e digitale. Un futuro che è già arrivato e con il quale noi rischiamo di perdere ancora una volta l’appuntamento, illudendoci che con 345 parlamentari in meno avremo una democrazia migliore.

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