Un’Europa diversa, ma per fare cosa?

, di Stefano Rossi

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Un'Europa diversa, ma per fare cosa?

Il contributo dell’amico Alberto Majocchi apparso su Eurobull il 28 gennaio scorso può aprire un serio dibattito sul senso delle prossime elezioni europee. È infatti vero che “per la prima volta dal 1979, le prossime elezioni europee avranno un significato politico molto rilevante”, ma questo non sarà per lo scontro tra i fronti europeista e sovranista.

Mi pare infatti che la frattura europeisti/sovranisti non sia una novità del 2019. Sia nel 2009 che nel 2014 il tema delle elezioni europee è stato quello della progressiva crescita dei partiti euroscettici, tema che caratterizzerà certamente anche questa tornata elettorale. Nell’ultimo decennio la spaccatura europeisti ed euroscettici è stata lampante a livello europeo, sia per quanto riguarda le posizioni istituzionali, sia – molto spesso – sulle politiche proposte dalla Commissione. Non possiamo nascondere che i programmi elettorali di popolari, socialisti e liberali erano molto simili nel 2014, come nel 2009.

Le europee di quest’anno, in pieno allineamento con quelle precedenti, vedranno una minoranza euroscettica in crescita come contropartita della crisi dei partiti tradizionali. Una minoranza che non riesce ancora a formare un fronte compatto per le note divergenze tra leader nazionalisti sulle politiche migratorie e di bilancio. Una maggioranza che perde pezzi ma che finora ha mantenuto una certa unità intorno alla guida della Commissione e che – specialmente dopo Brexit – ha potuto aprire nuovi cantieri di avanzamento istituzionale, dalla difesa alla fiscalità.

Se c’è un elemento di novità nelle prossime europee, questo non è la riproposizione del fronte europeista. Semmai, è la spaccatura dello storico fronte europeista.

Per varie ragioni, uno dei pilastri della vita politica europea come l’abbiamo conosciuta fino a oggi sta per crollare: la storica grande alleanza tra popolari e socialisti. L’elezione di medio periodo del Presidente del Parlamento è stato il casus belli; l’apertura del PPE a Orban, la inevitabile perdita di voti del PSE (anche per l’uscita dei laburisti inglesi), l’ascesa di nuovi attori esterni ai partiti tradizionali, come En Marche e i 5 stelle in Italia, faranno il resto. I numeri non consentiranno per certo di costituire una maggioranza limitata a popolari e socialisti. Non è escluso che alla fine il presidente di Commissione sarà sostenuto da popolari, socialisti e liberali, ma per la prima volta sta diventando concreta l’eventualità che i popolari si rivolgano a destra per trovare un appoggio. Di fronte a questo rischio, i socialisti dovranno scegliere se impostare una campagna elettorale morbida verso i popolari, o se presentarsi come una vera alternativa rispetto a questi ultimi.

La necessità di esprimere una vera alternativa rispetto ai popolari imporrebbe a socialisti, verdi e sinistra di dotarsi di un’agenda politica europea e dare battaglia nella prima campagna elettorale europea. Questa sarebbe inoltre l’unica strada per recuperare alla “famiglia progressista” un consenso perso negli anni a favore di forze antisistema che, a torto o ragione, hanno rappresentato per gli elettori l’unica alternativa alla direzione politica dell’Europa degli ultimi decenni. Il che riporterebbe nell’alveo delle tradizionali forze europeiste il consenso popolare, elemento chiave perché l’impulso franco-tedesco possa dare i suoi frutti.

A questo punto occorre chiedersi cosa ne sarebbe del processo di avanzamento istituzionale, e qui il dibattito si fa interessante. La politicizzazione della Commissione e la creazione di un sistema politico europeo tendenzialmente bipolare, deve essere visto come un fattore positivo o negativo per la lotta per l’unità europea? Nell’ambito di una nuova sfida tra conservatori e progressisti a livello europeo, è possibile che le proposte di avanzamento istituzionale rimangano sullo sfondo, poiché evidentemente una vera campagna elettorale si baserà su proposte politiche. Noi sappiamo bene che, senza l’avanzamento istituzionale, gli strumenti oggi esistenti per realizzare le politiche europee non sono efficaci. Ma dobbiamo anche renderci conto che le domande dei cittadini esigono risposte politiche, non istituzionali. Allo stesso tempo, se i partiti si impegneranno su politiche ambiziose, alcuni avanzamenti istituzionali saranno richiesti, e sarà nel loro mandato realizzarli. In altre parole, saremmo di fronte all’apertura di una nuova contraddizione.

Un forte mandato elettorale su un’agenda densa di proposte politiche, in sinergia con la pratica degli Spitzenkadidaten, costituirebbe un contrappeso importante rispetto all’influenza degli Stati sulla vita dell’Unione e darebbe lo slancio necessario a mettere in discussione il voto all’unanimità su alcune materie. L’avanzamento istituzionale verso una forma di governo parlamentare, in un quadro federale, sarebbe un naturale passaggio per realizzare le priorità politiche rappresentate nel Parlamento Europeo.

Se è vero, come dice giustamente il professor Majocchi, che occorre coniugare l’istanza di “più Europa” con quella di “un’Europa diversa”, tutto questo non basta. Corriamo il rischio che tutto ciò rimanga agli occhi degli elettori un vago riferimento identitario a un sentimento europeista che oggi non scalda più i cuori, semplicemente perché l’Unione inizia a essere considerata un’istituzione irrevocabile, una realtà. Sono lontani i tempi in cui l’Europa era considerata una novità in costruzione, una promessa utopica. Oggi l’Unione ha un Parlamento, una moneta, una Corte di ultima istanza, una banca centrale, un governo. Certo, i limiti dello status quo sono noti a tutti noi, ma per i cittadini l’avanzamento istituzionale non rappresenta più una sfida emozionante.

Alle elezioni, ai cittadini non basterà sapere dai partiti “quale Europa” propongono, ma “un’Europa per fare cosa?”. Vogliono poter scegliere un’Europa della crescita, del welfare, del lavoro, delle imprese, dell’ecologia, della sicurezza, dell’accoglienza, dei diritti, della solidarietà, un’Europa della pace e con una precisa missione nel mondo. Solo i partiti sono in grado di formulare proposte alternative su questi temi e sfidarsi nell’agone elettorale. Questo infiammerebbe lo scontro tra proposte alternative, recuperando la gran massa di elettori rimasti incastrati tra l’insostenibile difesa dell’esistente (del fronte europeista) e la preoccupante prospettiva di rompere i Trattati (di quello sovranista).

Fonte immagine: Pixabay.

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