Quella che finisce in questi giorni è stata una grande Presidenza della Repubblica, che ha guidato il Paese per quasi nove anni, tra le turbolenze della politica italiana (sempre altissime) e della crisi europea. Lo straordinario percorso politico ed intellettuale della vita di Giorgio Napolitano aiuta a capire la natura della sua Presidenza.
Dell’originaria prassi del comunismo di Gramsci e Togliatti ha mantenuto la capacità di comprendere le scelte di potere che si rendono necessarie in certi momenti cruciali, così come la fermezza nel perseguirle senza farsi irretire dalle posizioni ideologiche.
Dalla ‘rivoluzione liberale’ di Piero Gobetti ha tratto costante alimento per traghettare, con Giorgio Amendola, il partito comunista verso il riformismo socialdemocratico, nella fase storica in cui ciò poteva essere possibile (non prima). E comprendendo che solo con un approccio liberal si potessero gestire i rapporti tra forze politiche molto diverse, tendenzialmente chiuse nel loro recinto ideologico.
Dal federalismo di Altiero Spinelli ha tratto il profondo convincimento che l’obiettivo dell’unità politica del continente fosse il più grande progetto politico del dopoguerra e che l’ancoraggio dell’Italia al processo di unificazione costituiva la condizione essenziale per la sua salvezza. Ne derivava che il riformismo richiesto al Paese era quello che proveniva dagli input che la costruzione europea poneva, non più quello nazionale, inevitabilmente conservatore.
Credo che proprio sulla base di questi tre elementi basilari sia possibile interpretare i due passaggi cruciali della sua Presidenza. Il primo, nell’autunno del 2011, quando il Paese si trovò di fronte al rischio di un default del proprio debito pubblico (con lo spread a 570, a tre mesi di distanza dalla Grecia), cosa che avrebbe rapidamente trascinato l’Eurozona in una crisi irreversibile, mettendo a repentaglio il progetto europeo. Qui Napolitano compie il suo ‘capolavoro’ politico: convince Berlusconi a farsi da parte per il bene del Paese (e il suo personale) e ad essere sostituito da un liberal come Mario Monti, al quale assegna il compito di riportare l’Italia in Europa.
Destrezza e tenacia togliattiana, soluzione condivisa delle ‘larghe intese’, visione europea della soluzione. È un successo tale che il New York Times gli assegna il 2 dicembre 2011 il soprannome di King George per la sua “maestosa” difesa delle istituzioni democratiche italiane. E la sua scelta si rivela rapidamente quella giusta. Nel giro di sei mesi il governo Monti, grazie alle sue riforme europee, ricolloca il Paese nel solco della sua tradizione, rendendo l’Italia nuovamente credibile in Europa. È un fatto che solo grazie alla ritrovata stabilità politica dell’Italia il Consiglio europeo del giugno 2012 può annunciare il progetto delle quattro Unioni per l’Eurozona: l’Unione bancaria, fiscale, economica e politica. Così pure è un altro fatto che, solo grazie all’uscita dell’Italia dal rischio di default, Mario Draghi con il suo discorso del 2 agosto 2012 può dire che la BCE interverrà a difesa dell’Euro whatever it takes.
Il secondo passaggio avviene nella primavera del 2013 quando decide di accettare un secondo incarico per traghettare il Paese fuori dall’impasse politico in cui era caduto dopo le elezioni politiche del febbraio 2013, anche per l’incapacità e l’irresponsabilità di diverse forze politiche di dare un governo al Paese. Con Enrico Letta (vera e propria espressione della Presidenza della Repubblica) Napolitano ripropone l’unica soluzione di realpolitik possibile in quel momento: un governo di larghe intese, con il compito di avviare quelle riforme strutturali tali da assicurare una permanenza del Paese in Europa. Quell’impostazione è rimasta anche con il passaggio al governo di Matteo Renzi, una scelta tutta interna al Partito Democratico, verso la quale Napolitano rimase estraneo e che rispettò. La scelta di restare Presidente fino alla fine del semestre di Presidenza italiana della UE è ulteriore testimonianza di come si sia sentito, fino all’ultimo, il garante della posizione europeista dell’Italia.
Giorgio Napolitano è stato un grande Presidente della Repubblica Italiana, un Presidente ‘federalista’, come Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi, che hanno fatta propria la scelta della discriminante tra il progresso e la reazione, tracciata nel Manifesto di Ventotene:
«La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale - e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità - e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.»
1. su 15 gennaio 2015 a 07:35, di chiara stigliani In risposta a: Un Grande Presidente
grazie presidente .i auguro che il prossimo sia come lei con stima
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