Ricucire gli strappi di ieri

Un ponte tra UE e USA

, di Lucia Marchetti, Myriam Bonacina

Un ponte tra UE e USA

Unite for a better future pone Biden in netto contrasto all’America first di Trump, che, a detta del nuovo presidente, non ha fatto altro che isolare gli Usa. Già sotto Obama in qualità di vicepresidente, Biden si era trovato a ricucire strappi e tensioni con l’Europa, a partire dagli interventi militari in Medio Oriente voluti da Bush. Ora, però, la situazione sembra davvero delicata poiché la frattura è più profonda: dal secondo dopoguerra, mai nessun presidente americano si era mostrato euroscettico come Trump tanto da caldeggiare la Brexit, o aveva osato definire l’Europa un “nemico commerciale” e l’Alleanza Atlantica un “relitto della Guerra Fredda”, di ostacolo al dialogo Stati Uniti-Russia.

Al contrario, Biden è un convinto atlantista, formatosi proprio ai tempi della tensione Usa-Urss e per questo sostenitore di un consolidamento dell’alleanza con il vecchio continente, in primis in chiave militare. Del resto, anche i presidenti precedenti a Trump lamentavano uno scarso impiego di denaro nella difesa da parte degli stati europei, in particolare la Germania, motivo per cui non erano e non sono tutt’ora considerati alleati affidabili della NATO. Questo dovrebbe spronare l’Europa ad affrontare senza esitazioni il tema della sicurezza, forte, tra l’altro, del Trattato di Lisbona del 2007 e della relativa clausola di solidarietà tra i membri Ue. Da ridefinire, a tal proposito, i rapporti con la Russia, che dal 2010 sembra percorrere una via di maggiore collaborazione con gli Stati Uniti, sancita dall’accordo New START per la riduzione delle testate nucleari. Il dialogo strategico avviato da Obama, però, si è subito rivelato un confronto tra le due superpotenze, in mezzo a cui l’Europa rischia di rimanere schiacciata nonostante lo scudo missilistico sia di primaria importanza per la sua sicurezza territoriale.

Un altro capitolo su cui gli europei sono chiamati a mostrare maggiore iniziativa riguarda le ex repubbliche sovietiche di Moldavia, Ucraina, Armenia, Azerbaigian e Georgia, peraltro già incluse nel Partenariato orientale dell’Ue: senza rinunciare a ricoprire un ruolo globale infatti, l’Unione dovrebbe innanzitutto concentrarsi su questioni che la riguardano da vicino. Con il governo Usa impegnato a tessere relazioni con le potenze emergenti -in particolare la Cina- il rilancio di una più concreta cooperazione transatlantica non può che passare per una rinnovata politica europea, più coesa negli obiettivi, ma soprattutto più realistica e disincantata verso il sogno di un anacronistico ritorno all’atlantismo degli anni della Guerra Fredda, in cui il vecchio continente era ai vertici degli interessi americani.

Ora che questo orizzonte è tramontato, ci si aspetta un’Europa più matura e più autonoma, meno propensa ad abbassare il capo. Gli Stati Uniti di Obama, infatti, per quanto aperti al dialogo, per anni hanno fissato da soli l’agenda delle priorità strategiche. Questo è vero per l’Afghanistan, la ripresa del processo di pace in Medio Oriente o le relazioni con la Russia. Su altri problemi, invece, come la disputa sul nucleare iraniano, la convergenza transatlantica è stata frutto di iniziative europee. L’Ue ha provato ad esprimersi all’unisono anche sulle grandi questioni globali, come il rilancio dell’economia internazionale, riuscendo ad emergere dal trend recessivo del 2009, tuttavia senza ottenere grande supporto per i propri membri in maggiore difficoltà, come la Grecia. Quanto a questione climatiche poi, il coro europeo a Copenaghen contro il riscaldamento globale è stato sostanzialmente soffocato dalla voce ben più influente dei due maggiori inquinatori del pianeta, Usa e Cina.

A fine 2020, chiusa la parentesi Trump, le questioni irrisolte Ue-Usa sono, quindi, ancora tante. Si tratta innanzitutto di riallacciare i rapporti: l’Europa, certa che il multilateralismo di Obama continuerà a giocare un ruolo chiave negli interessi americani, gli Stati Uniti, però, altrettanto consapevoli che l’appoggio europeo su progetti di scala internazionale sia insostituibile, in quanto inquadrato in una medesima cornice storico-culturale ed ideologica.

Prospettive per il domani

La sfida tra Biden e Trump ha assunto l’aspetto della disputa tra una visione pacifica e plurale dei rapporti internazionali, ed una conflittuale e protezionista. L’esito, per quanto positivo, ci dimostra quanto le idee del Presidente dell’America First siano ancora diffuse tra la popolazione americana che risiede fuori dai grandi centri. Pertanto, Biden si trova nella posizione di dover mediare due concezioni della società e dei rapporti politici antitetiche e quasi inconciliabili; è plausibile che ciò porti a una certa timidezza iniziale nell’intraprendere grandi disegni multilaterali di politica estera. Altresì importante considerare il ruolo della probabile maggioranza repubblicana al Senato, che presumibilmente si opporrà ad immediate rivoluzioni in materia di politica estera e commerciale.

Tuttavia, non è il caso di essere totalmente pessimisti. Quali sono quindi le opportunità che si presentano per la partnership euro-atlantica? Innanzitutto, per noi europei la speranza è che la sconfitta elettorale di Trump dia una sterzata anche ai populismi nostrani, che si sono ispirati a più riprese al trumpismo, creando in Europa un paradossale “sovranismo internazionale”. Si ripresenta pertanto l’occasione per far rivivere alla politica internazionale un periodo in cui i valori dominanti siano quelli della società aperta e multilaterale. Abbiamo poche sicurezze relative a cosa ci aspetti per il domani, ma una di queste è certamente la speranza condivisa a livello europeo nella ripresa di rapporti politici civili tra i vertici USA e UE.

Il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, congratulandosi con il Presidente eletto Biden, ha ricordato i legami storici che hanno influenzato la storia della nascita degli Stati Uniti e l’uscita dell’Europa dall’Ancien Régime nel XVIII secolo: le rivoluzioni atlantiche, frutto di uno scambio ideologico sostanziale tra le due sponde dell’Oceano, che tanto hanno ispirato federalisti come Clarence K. Streit, il giornalista americano che nel saggio “Union Now” del 1939 immaginava un’Unione politica atlantica i cui attori principali sarebbero stati gli Stati Uniti e le democrazie europee del tempo.

Sassoli ci ha tenuto anche a sottolineare il ruolo attivo che le istituzioni europee devono intraprendere, senza adagiarsi sugli allori, per promuovere un governo europeo e una partnership per garantire un mondo con meno diseguaglianze: «il modello Trump è fallito esattamente perché ha puntato sull’America di chi ce la fa», spiega Sassoli, «il nuovo dialogo Ue-Usa è per i politici che vogliono ricollegare popolo e democrazia e segnare la rotta del XXI secolo».

La politica trumpiana ha esercitato un notevole stress sulle relazioni transatlantiche negli scorsi quattro anni, ma gli Stati Uniti e l’Unione Europea ora hanno l’opportunità di affrontare congiuntamente le sfide geopolitiche che le attendono. L’amministrazione Biden, con la recente nomina a Segretario di Stato del francofilo e cosmopolita Tony Blinken e John Kerry, già segretario di Stato, oggi incaricato di seguire il dossier del cambiamento climatico, sembra lasciare intendere un chiaro abbandono all’isolazionismo di Trump e la ripresa dell’approccio multilaterale. Tali segnali sono riscontrabili nella volontà di rispettare gli Accordi di Parigi e nella ripresa di rapporti distesi con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel frangente della necessaria lotta globale contro la pandemia da Covid-19.

In questo contesto favorevole, l’Europa dovrà cogliere l’occasione di presentarsi con una voce unica nel dialogo con un leader americano che la riconosce come valida interlocutrice e che non è interessato ad animare le forze disgregatrici interne. L’Europa è infatti un partner vitale per rafforzare la NATO, non cedere a interferenze politiche della Russia e lavorare congiuntamente sugli altri dossier internazionali. Sul fronte dei rapporti commerciali, caratterizzati da una guerra dei dazi in epoca Trump, la speranza è che si possa raggiungere una tregua. Altro tema caldo, la web tax che Bruxelles intende imporre alle Big Tech americane, potrà trovare una risoluzione solo se l’Europa saprà far valere il suo potere negoziale.

L’articolo è stato precedentemente pubblicato sul numero 34 di Publius, che trovate qui.

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