La metro è rumorosa come sempre, mezza vuota per le fermate bloccate. Le televisioni borbottano di tumulti, mentre un irreale sole di Marzo sovraespone le vie di Roma deserte, chiuse per l’incontro tra i capi di stato. Due ragazze accanto a me discutono su quale sia la fermata migliore per la March for Europe. Così insieme scendiamo a Circo Massimo. Io mi affretto fino a Piazza Bocca della verità. Mentre attraverso la strada vedo il furgoncino federalista che chiuderà la marcia e poi la piazza, già quasi piena, incontro gli amici militanti svegli dalle sei con le loro maglie gialle del servizio d’ordine. Abbraccio i miei genitori, i ragazzi da tutta Italia, dall’Europa. Il tempo incespica, arranca, siamo lì per un tempo indeterminato, sotto un sole cocente che già brucia sulla pelle mentre riempiamo di vita, di parole e di ideali questa splendida piazza romana.
Perché siamo qui oggi?
Non per la mera difesa di un ordine esistente, siamo qui per la difesa di un progetto politico incompiuto e gridiamo con tutte le nostre forze per la sua realizzazione. Siamo federalisti europei, non lottiamo solo per un sogno, solo per un’idea, lottiamo per costruire il progetto tangibile dell’Europa politica, dei cittadini, democratica. L’Europa federale. O si fa davvero l’Europa di Spinelli, Rossi e Colorni, la nostra di Europa, oppure nessuna risposta sovranazionale verrà data a tutti i fenomeni transnazionali che attraversano la società europea: la disuguaglianza, le migrazioni, le sfide climatiche, le crisi economiche, la sicurezza sociale. Il mondo globale continua a bussare alla porta e questa rivoluzione politica è la condizione necessaria perché il popolo europeo possa rispondere alla chiamata. Il tempo stringe. O la lotta sarà continentale, con gli strumenti adatti per farla, o non sarà affatto.
L’UE è strozzata dal nodo degli egoismi nazionali e dal sistema intergovernativo che li legittima. Non può esistere alcuna risposta unitaria e democratica sovranazionale che sia la mera sommatoria di interessi particolari. Per realizzare il bene comune europeo, inteso nella sua declinazione più porosa e rivoluzionaria, bisogna costruire istituzioni democratiche adeguate alle dimensioni globali del nostro tempo. L’Europa di Bolis, il progetto dell’Europa politica che nasce dalla resistenza come costituzione di un ordine nuovo per il superamento degli abomini nazionalisti non si è ancora realizzato. La comunità di destino dell’unità nella diversità rimarrà mutilata e incompiuta senza un’anima politica che riconsegni nelle mani dei suoi cittadini quel progetto, questa storia; che innalzi i valori di unità, uguaglianza, giustizia sociale, diversità, protezione indiscriminata dei diritti e li scriva una volta per tutte nella storia.
E quindi, ancora, perché siamo qui?
Perché quell’anima non esiste senza di noi. Come scrive Balibar nelle conclusioni del suo Noi cittadini Europei? Le frontiere, lo stato e il popolo: “Se l’Europa (cioè gli Europei reali, i «residenti» in Europa) arrivasse a far ripartire il motore dell’azione politica, non sarebbe certamente quel «tutto» autosufficiente che promettono i Trattati e i Vertici, ma – in quanto nome di un popolo a venire – essa potrebbe senz’altro divenire «qualcosa»”
Anche più, di qualcosa.
Torno al 25.
Inizio a girare avanti e indietro per catturare qualche sguardo, qualche sorriso, per inquadrare questa folla che continua a riempire la piazza, questa massa quieta e vibrante. Arrivano anche i pullman e le bandiere si moltiplicano dal suolo come se prendessero improvvisamente vita nella mani degli astanti. Il vento le scuote e mostra il loro simbolo a questo giorno rubato di sole.
Questo simbolo che conserva le migliaia di voci del passato di quelli che hanno pianto, gridato, lottato, che hanno assistito alle innumerevoli contingenze storiche sfavorevoli, ai compromessi e hanno continuato a militare a partire da quelle sconfitte o da quelle conquiste parziali. Alcune di quelle voci sono qui con noi, non siamo solo giovani, veniamo da tutta Europa, da tutte le sue generazioni. Veniamo dal lungo tempo della nostra lotta.
Intanto, sta per iniziare. Allora corro in avanti, decidendo di percorrere il corteo seguendo la corrente per poi attraversarlo nuovamente in direzione contraria. La speranza è poter catturare ancora e ancora l’energia della marcia, conservandola nella scheda memoria di una macchina fotografica. Non solo, in un certo senso riviverla numerose volte, costruendo diversi ricordi, cercando di avere una visione d’insieme, multidimensionale, complessa di questa giornata. E allora avanti e indietro, Giulio è in testa, i miei amici e militanti sparsi per il corteo; siamo soli, siamo insieme. Non è il contatto ravvicinato che ci fa vibrare la pelle, sappiamo di essere lì tutti, dal primo all’ultimo. Non siamo mai soli, anche se le nostre grida sono ora disperse in diversi momenti del corteo, in diversi passaggi. Giriamo l’angolo e si inizia a vedere il Colosseo, molti militanti sulla collina ora alzano le bandiere come in un quadro. Mi volto e vedo ancora un fiume di gente che cammina, non vedo la fine, la fine è oltre la curva. La fine forse è ancora dove tutto è iniziato. Mi rendo conto di quanti siamo, e di quante bandiere federaliste ci sono intorno a me. La nostra March for Europe dovrebbe forse chiamarsi March for a Federal Europe, perché i federalisti sono il cuore pulsante di questa marcia.
Il tutto finisce senza voce, gridando i nostri cori fino allo sfinimento. Ma non importa, continueremo a gridare quando i media silenzieranno le nostre voci, quando i capi di stato si volteranno dall’altra parte ignorando la loro cruciale responsabilità storica, quando dimenticheranno le morti di chi viene in Europa per una vita migliore e a cui ancora non è stata data una risposta d’accoglienza. Continueremo a gridare perché dalla nostra avremo ancora la forza di questa idea calata nel mondo.
E nulla si esaurisce in quelle grida felici e stanche, nulla, perché da domani grideremo ancora più forte, finché nessuno potrà dire di non aver sentito.
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