L’Unione Europea ha avviato un’indagine e un dibattito per individuare i principali obiettivi della sua politica estera e, di conseguenza, anche dei mezzi per il loro conseguimento. Tra i mezzi, la difesa europea è ovviamente prioritaria. Lo “Strategic Compass” dovrebbe essere adottato nella prima metà del 2022. Questa riflessione è opportuna, anzi necessaria, a patto che sappia identificare un obiettivo cruciale di lungo periodo della politica estera europea. Una bussola (compass) deve indicare i punti cardinali. Quale sarà la stella polare dell’Unione europea?
Lo scopo di questo articolo è di mettere a fuoco un obiettivo fondato sull’identità dell’Unione, così come hanno fatto Stati Uniti e Unione Sovietica dopo la fine della Prima guerra mondiale: i primi si sono proposti di costruire un ordine mondiale “sicuro per la democrazia”; l’Unione sovietica divenne la paladina della rivoluzione socialista mondiale. La politica internazionale ha sempre un contenuto ideologico, ogni soggetto politico per essere efficace deve unire le forze dietro una bandiera. Se l’Unione Europea si proporrà solo di navigare nel vasto oceano rappresentato dal vecchio ordine internazionale postbellico, fondato sul sistema di Vestfalia, non potrà sottrarsi al dominio delle altre potenze mondiali. Lo dimostrano i primi commenti sullo Strategic Compass (Fiott, CSDS Policy, 9/3/21) concentrati più sui mezzi per sopravvivere che per costruire un futuro di pace per i cittadini europei e per i cittadini del mondo. La politica estera europea non trasformerà l’Unione europea in una superpotenza, ma è necessaria per neutralizzare i contrasti tra potenze su scala globale.
Se la politica estera si concentra sui mezzi militari è inevitabile che si ponga la scelta tra pace e guerra, tra noi e loro, tra amici e nemici. Il nazionalismo è il necessario complemento ideologico di una politica fondata sulla forza militare. Tra popoli diversi, esistono naturalmente anche rapporti culturali, sociali ed economici, ma normalmente questi rapporti sono subordinati agli equilibri della politica internazionale, la balance of power.
Oggi la politica internazionale non è più governata dalle due ex-superpotenze. Il bipolarismo è finito e al suo posto si sta disordinatamente affermando un sistema multipolare, nel quale compaiono nuovi importanti attori, come Cina, India, Brasile Australia, ecc. Nel mondo multipolare contemporaneo, le cosiddette grandi potenze si comportano l’una verso l’altra come i vecchi stati sovrani del sistema di Vestfalia. Considerano cioè gli altri come nemici potenziali, con i quali sono, tuttavia, costretti a contenere i contrasti entro limiti inoffensivi, per evitare di mettere in discussione il sistema globale di produzione e circolazione delle merci, dei servizi e delle persone dal quale tutti dipendono. Fuori dall’economia globale si imbocca la strada dell’emarginazione e della miseria. La crisi pandemica ha fatto emergere con evidenza questa contraddizione. Il nazionalismo dei vaccini non è riuscito a scalfire i consolidati legami umani ed economici, come testimonia l’intensa cooperazione scientifica e tecnologica internazionale per la scoperta e la diffusione dei vaccini, ora considerati un bene comune dell’umanità. In definitiva, sebbene l’obiettivo di una pacifica cooperazione internazionale sia messo in discussione dai leader sovranisti mondiali (come Trump, Putin e Bolsonaro, ma non Xi Jimping), il sistema dell’economia globale sopravvive in uno stato di perenne incertezza, tra impulsi verbali offensivi e incontri politicamente corretti nei vertici globali, sfruttati più per inviare segnali muscolari ai propri cittadini, che per affrontare le minacce globali alla pace e all’ambiente.
Pertanto poiché la balance of power del sistema mondiale multipolare oscilla pericolosamente tra cooperazione e conflitto, quando è in gioco il primato mondiale tra potenze rivali – principalmente USA, Cina e Russia – l’Unione Europea deve trovare un suo ruolo specifico. Non sarà facile. Come ha fatto notare Josep Borrell: «Il peso dell’Europa nel mondo si sta riducendo. Trenta anni fa, noi rappresentavano un quarto (25%) della ricchezza mondiale. Si prevede che tra 20 anni, non raggiungeremo che l’11‰ del PIL mondiale, molto meno della Cina, che ne avrà il doppio, e meno del 14% degli Stati Uniti, alla pari con l’India» (Borrell, 8/3/21). Un’Unione Europea rassegnata e incapace di agire diventerebbe presto una Svizzera globale, subordinata alle grandi potenze laterali.
L’Unione Europea si trova di fronte a un bivio esistenziale. Se accetta di competere come potenza mondiale con le altre grandi potenze (USA, Russia, Cina e, in prospettiva India), deve dotarsi di armamenti militari degni di una grande potenza tecnologica, incluse le armi nucleari e accettare l’ideologia del nazionalismo, in breve, diventare l’Europa-nazione. In alternativa, senza rinunciare ad avere una propria forza militare, come già prevede la sua dottrina dell’autonomia strategica, deve proporsi di agire come forza agglomerante per avviare la costruzione di un ordine pacifico internazionale. L’UE può neutralizzare gli impulsi egemonici delle grandi potenze. Può favorire l’eguale partecipazione di tutti gli stati alla gestione degli affari comuni – mediante il multilateralismo – per rendere possibile la soluzione delle grandi sfide globali: la lotta contro il cambiamento climatico, la convergenza economica tra paesi ricchi e poveri, un equo sistema di rapporti commerciali e il controllo della finanza internazionale, che oggi ha raggiunto una dimensione tale da minacciare l’indipendenza e la stabilità di tutti gli stati, compresi i più grandi.
Questo obiettivo strategico può essere definito global governance, vale a dire un ordine pacifico e cooperativo post-Vestfaliano, basato sostanzialmente sulle medesime istituzioni internazionali create dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, ma con i necessari adeguamenti per sostituire al potere egemonico statunitense del passato un sistema di eguale partecipazione di tutti gli stati alla gestione dell’interdipendenza globale: una coesistenza pacifica non più a due ma multipolare. L’Unione Europea è stata creata da popoli che, alla fine del secondo conflitto mondiale, hanno detto “mai più guerre”. Ora è venuto il momento di estendere al mondo intero la volontà di pace degli europei, sancita dall’istituzione della cittadinanza europea e dalla Carta dei diritti fondamentali.
In questo articolo non mi propongo di esaminare nei dettagli i problemi di politica estera dell’UE, ma solo quelli riguardanti USA, Cina e Russia. Mostrerò due casi interessanti per criticare l’attuale passiva accettazione dell’ordine di Vestfalia e illustrare riforme che conducano verso una global governance. Cominciamo dal caso della NATO e della difesa europea, dove il principio dell’autonomia strategica sembra condurre a un dilemma insolubile: o si seguono le direttive della NATO proposte dalla potenza militarmente egemone, oppure si mette in discussione l’esistenza stessa della NATO, perché un’alleanza militare “occidentale” non si dovrebbe contrapporre a una pacifica global governance. La proposta fatta dal Segretario Generale, Stoltenberg, di un’estensione della NATO in Asia, includendo Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Sud Corea come “contact countries”, è il tentativo di contenere l’espansionismo cinese con mezzi militari europei. Recentemente, il Presidente Biden ha proposto un summit delle democrazie e, per quanto riguarda l’Asia, la creazione del Quad, vale a dire il quadrilatero tra USA, Giappone, India e Australia. Una Alleanza delle democrazie contro la Cina o una NATO euro-asiatica non si conciliano con gli interessi e le prospettive europee.
Se l’Unione Europea vuole avviare una politica di pacificazione mondiale deve mutare il significato e i contenuti di un’alleanza militare creata nel corso della guerra fredda per contenere l’espansionismo sovietico. I governi europei dovrebbero ricordarsi che nel 1994 chiesero e ottennero che il Presidente Clinton offrisse alla Russia la possibilità di partecipare alla Parnership for Peace (PfP) entro la NATO, avviando così un’occasione di cooperazione economica tra Russia e paesi europei, sino a una sua piena partecipazione alla NATO. La politica di allargamento della NATO a Est ha purtroppo provocato una crisi con l’Ucraina, contesa tra Est e Ovest, e con la Russia. Oggi, sembra esistere una frattura insanabile. Tuttavia, l’art. 2 della NATO prevede che alla cooperazione militare si possa aggiungere una cooperazione economica tra alleati. L’Unione Europea potrebbe pertanto proporre di creare una vasta area di libero scambio da Vancouver a Vladivostok, coinvolgendo la Russia in un progetto di cooperazione economica (come la PfP) che nel lungo periodo potrebbe portare a una distensione politico-militare duratura. La Russia deve attualmente affrontare una difficile sfida energetica ed economica. Avrebbe un serio interesse a una proposta di cooperazione economica pacifica che migliorerebbe il benessere dei propri cittadini e cambierebbe i rapporti con la Cina e con gli altri paesi dell’area euro-asiatica. La mancanza di un’efficace politica estera europea ha consentito a Russia e Turchia di estendere il loro protettorato ai paesi del Caucaso. Un’area di libero scambio da Vancouver a Vladivostok mostrerebbe che esiste un processo di pacificazione in corso tra grandi potenze, con benefiche ricadute in tutta l’area del Mediterraneo.
Il secondo caso riguarda le proposte in vista della conferenza sul clima di Glasgow, la COP26. Questo appuntamento potrebbe essere sfruttato per mostrare che tutti i paesi del Pianeta si accordano per evitare una catastrofe ecologica, prevista con drammatiche evidenze dagli scienziati se non si rispetteranno gli Accordi di Parigi del 2015. L’aumento medio delle temperature sta provocando effetti devastanti come lo scioglimento dei ghiacci polari, l’incendio di foreste, rabbiose tempeste e l’estinzione di innumerevoli specie animali. A Glasgow si punterà certamente a un accordo che fissi le riduzioni di CO2 per ogni paese ma, a questo accordo, si potrebbe aggiungere una politica per la fornitura di beni pubblici globali. In breve, un Global Green Deal che preveda oltre alle misure di contenimento dell’inquinamento, anche iniziative per una più effettiva solidarietà tra paesi, in particolare tra paesi ricchi e poveri. In effetti, anche l’Unione Europea ha affiancato al suo European Green Deal il piano Next Generation EU.
I leader europei hanno lanciato una proposta che può essere interpretata come un primo passo verso una global governance. Emmanuel Macron, Angela Merkel, Charles Michel e Ursula von der Leyen, insieme al Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres e al Presidente dell’African Union, Macky Sall (Project Syndacate, Feb. 3) si sono dichiarati favorevoli a un’emissione straordinaria di Diritti Speciali di Prelievo (DSP), da parte del FMI, al fine di superare la crisi pandemica e combattere il riscaldamento globale. Per il momento la proposta resta vaga, ma si potrebbe tradurre in un salto di qualità nella cooperazione internazionale. Normalmente, i DSP vengono assegnati solo per un terzo ai paesi emergenti. In una situazione di emergenza, si potrebbe proporre che l’emissione venga interamente assegnata all’ONU, al fine di costituire un fondo straordinario: una prima parte del quale per finanziare un Global Health System come prevde il Rapporto Monti (Pan-European Commission, March 2021) e una seconda parte per il Global Green Deal, per finanziare la ricerca in energie rinnovabili e misure di mitigazione per i paesi poveri. I cittadini del mondo comprenderebbero che la solidarietà internazionale si può tradurre in politiche efficaci.
Se si tiene presente che i DSP sono un paniere di monete che include il dollaro, l’euro, lo yen giapponese, il renminbi cinese e la sterlina, si comprende come l’iniziativa di un fondo straordinario per l’ONU rappresenti un passo consistente verso una global governance. Le maggiori potenze mondiali (il rublo è ancora escluso) potrebbero cominciare a cooperare apertamente a un piano per superare la crisi pandemica e per salvare il Pianeta da un collasso ambientale. Inoltre, un uso esteso dei DSP, una sorta di moneta mondiale, consentirebbe di stabilizzare il sistema monetario e finanziario internazionale, ora dominato da un enorme flusso di capitali apolidi. Infine, anche altre unioni continentali, come l’Unione Africana, potrebbero cominciare a usare i DSP come moneta di conto, per stabilizzare il proprio mercato interno e partecipare al commercio internazionale senza temere improvvise tempeste monetarie e finanziarie. Un più stretto rapporto tra Unione Europea e Unione Africana rappresenterebbe un modello di cooperazione sovranazionale per uno sviluppo equo e sostenibile.
In conclusione, una politica che si proponesse di conseguire una global governance non produrrebbe solo frutti consistenti sul fronte dei rapporti economici e sociali, ma consentirebbe di avviare il sistema delle grandi potenze verso una più intensa cooperazione pacifica. Ricordo che il 9 maggio 1950, con la "Dichiarazione Schuman”, iniziava il processo di unificazione europea. Nella “Dichiarazione” è scritto: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l’azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania». Questa “Dichiarazione”, passata quasi inosservata nella politica internazionale, nel 2021, potrebbe essere riscritta dai leader delle maggiori potenze mondiali così: «Un mondo cooperativo e pacifico non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruito tutto insieme; esso sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra le grandi potenze: l’azione intrapresa deve concernere in prima linea le grandi potenze». I leader mondiali non devono cercare risultati a breve termine, che avvantaggino i propri cittadini a spese degli altri abitanti del Pianeta. Devono cercare con pazienza e costanza le vie per una permanente cooperazione pacifica. I cittadini europei sanno che una guerra tra stati europei è oggi impossibile. Mediante un tenace progresso verso una global governance, verrà un giorno in cui si potrà affermare che nessuna barriera fisica, ideologica o politica separa i cittadini del mondo.
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