Quest’oggi, vogliamo ricordare una donna che rappresenta in sé una sintesi storica del significato di questa rubrica. Una donna che è stata la testimonianza vivente della vocazione europea della Resistenza, che si è sempre battuta per i diritti dei più deboli e che si è impegnata per realizzare il progetto di Ventotene a cui lei stessa ha lavorato fin dall’inizio. Un progetto che ha diffuso e difeso rischiando la vita durante la dittatura nazi-fascista in Italia ed in Europa, un progetto rivoluzionario attraverso il quale sognava anche di poter finalmente realizzare l’emancipazione delle donne riunendole a lottare per comuni obiettivi individuali e collettivi.
Da “Noi senzapatria”, 1993
Non sono italiana, benché abbia figli italiani, non sono tedesca, benché la Germania una volta fosse la mia patria. E non sono nemmeno ebrea, benché sia un puro caso se non sono stata arrestata e poi bruciata in uno di quei forni di qualche campo di sterminio. Noi “déraciné” d’Europa che abbiamo cambiato più volte di frontiera che di scarpe, come dice Brecht, questo re dei “déraciné”, anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene in un’Europa unita e perciò siamo federalisti.
Ursula Hirschmann nasce a Berlino il 2 settembre del 1913 da una famiglia della media borghesia di origine ebraica. Frequenta l’Università di Berlino col fratello minore Albert Otto (che sarà poi candidato al Nobel) per condurre studi economici ed incontra qui, per la prima volta, Eugenio Colorni. In questi anni Ursula conduce un’attività antinazista clandestina insieme ad altri giovani socialisti e comunisti, visto che il partito socialdemocratico a cui si era precedentemente legata non si decideva a opporsi concretamente alla crescente ondata nazista.
Lasciata la Germania e rifugiatasi a Parigi dal fratello, avvia a frequentare l’ambiente antifascista europeo e, in particolare, si avvicina ai gruppi comunisti. Convinta a non entrare nel Partito Comunista e a rimanere nei socialisti per favorire la politica del “fronte unico”, si distanzia sempre più dagli ex compagni visti i continui attacchi insensati a tutti coloro che intorno a lei sono accusati di “deviazionismo” dai fautori della dottrina sovietica. Ritrovato Colorni, chiude definitivamente la parentesi comunista, decide di andare a Trieste e di sposarlo nel 1935. Terminati gli studi in lingue all’Università di Venezia, prende parte all’attività antifascista insieme al marito. Al momento del suo arresto, nel 1938, decide di seguirlo a Ventotene.
Partecipa col gruppo dei confinati alla discussione sul “Manifesto per un’Europa libera e unita” e lavora alla sua diffusione sul continente insieme ad Ada Rossi e alle sorelle di Spinelli. Trasferitasi a Melfi con Colorni, quando quest’ultimo si dà alla fuga dal confino per unirsi alla Resistenza romana, visto il loro rapporto sentimentale ormai in crisi, decide di dirigersi a Milano con le figlie per proseguire qui l’attività di Resistenza e propaganda federalista: collabora con Guglielmo Usellini, Cerilo, Fiorella e Gigliola Spinelli alla pubblicazione della rivista clandestina «L’Unità Europea». Dopo la fondazione del MFE, emigra in Svizzera con Spinelli e Rossi. La Resistenza Europea deve tantissimo al lavoro di coordinamento di Ursula da Ginevra che si conclude con il sostegno all’organizzazione del primo convegno per gli Stati Uniti d’Europa nella Parigi appena liberata (saranno presenti Orwell, Camus, Mumford e tanti altri).
Sposato Spinelli, decide di affiancarlo anche nella lotta di tutta la sua vita, convinta che la democrazia può svilupparsi soltanto se poggia su un piano storicamente nuovo: quello dei popoli federati (lettera a Rossi, 4 gennaio 1948). Difatti, Ursula opererà sempre attivamente nell’organizzazione dell’attività federalista con un ruolo di primo piano, arrivando a fondare nel 1975 Femmes pour l’Europe a Bruxelles. Questa associazione cerca di riunire il fronte delle donne europee impegnate in politica e in ambito culturale concentrandosi su problematiche concrete che vanno dalla promozione dell’accesso alla formazione e alla difesa della parità salariale, fino alla lotta per il miglioramento delle condizioni di vita delle donne immigrate e dei paesi in via di sviluppo.
La Hirschmann sostiene che è necessario porre fine alla diffidenza reciproca esistente fra le donne impegnate attivamente nella vita politica e le femministe. È indispensabile convogliare tutte le energie – partecipando su base di eguaglianza alle scelte politiche, sociali, culturali ed economiche – per i comuni obiettivi:
Per arrivarvi, esse devono superare un altro ostacolo sulla strada della loro battaglia. Per loro infatti, [...] le donne devono cominciare prima a liberarsi delle loro catene individuali (la lotta per l’aborto, per la parità salariale, ecc.) e in ‘seguito’ occuparsi di politica [...]. Le donne devono, al contrario, battersi su tutti i fronti [...]. La battaglia per l’unificazione politica dell’Europa può essere una tappa importante ed esemplare per le donne [...]. Le donne dovranno cominciare a considerare l’Europa come una città in formazione, suscettibile di prendere l’impronta che gli si darà.
Di lì a poco Ursula si ammalerà e non potrà più riprendere attivamente la strada di un impegno che oggi è probabilmente più attuale che mai guardando alla parcellizzazione delle lotte della nostra società civile contemporanea.
Dirà di lei Silvana Boccanfuso [1] “Ursula rappresenta una figura potente di militante politica che, nel contempo, si spende anche per organizzare una vita familiare complessa (…). La sua freschezza, la sua decisione, la sua dedizione sono state però sempre quelle della giovane berlinese che decise, nel luglio 1933, che l’Europa era la sua casa, e di Europa, da allora, si nutrì”.
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